ROMA - Il primo dei 630 mette il piede sulla terra promessa in un silenzio irreale qualche minuto dopo le 7 di una splendida domenica d'estate con il sole caldo e il mare piatto, nove giorni dopo esser stato ripescato davanti alla Libia mentre andava alla deriva con altri disperati su un gommone destinato a finire a fondo. Finisce sul molo 1 del porto di Valencia, quello per le navi da crociera, l'odissea dell'Aquarius. E finisce con i sorrisi veri di chi alla fine e nonostante tutto ce l'ha fatta e ora, finalmente, ha davanti una speranza. Una vita diversa. Il convoglio con l'Aquarius è davanti a Valencia già nella notte: sulla nave delle Ong ma anche su Dattilo della Guardia Costiera, l'imbarcazione che ha avuto il compito di guidare questo viaggio che ha spaccato l'Europa, si canta e si balla e non sono solo i migranti a far festa, perché in mare si è tutti uguali e lo sa bene chi di vite ne ha salvate a migliaia. La prima ad entrare in porto è proprio Dattilo, alle 6.20; mezzora dopo è già in banchina pronta a lasciare andare uomini, donne e bambini alla loro nuova vita. I più piccoli portano via i pelouche che questi uomini avevano fatto arrivare da Olbia, quando la nave ha deviato per evitare il maltempo che imperversava sulle coste occidentali della Sardegna. Quando i medici salgono a bordo entra a pieno regime la macchina dell'accoglienza messa su dalla Spagna. Il governo Sanchez per inaugurare il nuovo corso ha voluto fare le cose in grande: motovedette, elicotteri, navi militari, 2.300 persone per gestire uno sbarco di poco più di 600. Se ci fosse bisogno di una conferma, ci pensa il sindaco di Valencia Joan Ribò: "L'arrivo dell'Aquarius dimostra che con la volontà politica si possono difendere e proteggere i diritti umani". E la prima di Aquarius entra in porto alle 10.25. Come passa la diga foranea e appare ai 700 giornalisti che l'aspettano, parte l'applauso dei volontari a terra che fa il paio con quello a bordo. "Il loro desiderio era uno - dice Sidonie Nsiako, operatrice di Intersos Unicef sulla Dattilo - raggiungere terra e avere una casa". Sulla banchina intanto arriva padre Angel, che è il fondatore di Mensanjeros de la Paz e qui in Spagna è un po' quello che don Andrea Gallo, il prete di strada, era in Italia. "E' una vergogna, trattare così persone che fuggono in cerca di un pezzo di pane; è una scelta che manca di umanità". Che sono le stesse cose che dice il vescovo di Valencia Antonio Canizares nella cattedrale. "Questa vicenda bussa alle coscienze di tutti e deve portarci a mettere a punto soluzioni reali". La macchina dell'accoglienza funziona, alle 17.30 lo sbarco è concluso e diversi migranti sono già nei centri di accoglienza. 144, invece, vanno in ospedale, di cui 22 minori, per accertamenti più approfonditi, ma alla fine saranno probabilmente solo 6 quelli che verranno ricoverati per patologie pregresse. "Questi migranti ci stanno dando una lezione di civismo e serenità" racconta il coordinatore di tutto il dispositivo messo in piedi dalla Generalitat Valenciana, Jorge Suarez mentre mentre in porto entra nave Orione, l'ultima, con gli uomini della Marina Militare italiana schierati sull'attenti e i migranti sul ponte di poppa. La rabbia delle Ong era esplosa prima. "Fino a che i governi europei non si prenderanno le proprie responsabilità #Aquarius sarà obbligata a continuare a condurre operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo" twitta Msf con la nave ancora fuori dal porto. Parole ripetute fino alla noria nella conferenza stampa congiunta con Sos Mediterranee. "Non cambia nulla, c'è un problema e noi ci mettiamo una pezza, l'obiettivo è tornare in mare il prima possibile" dice Alessandro Porro, il soccorritore che 9 giorni fa è stato ore in acqua per recuperare i migranti caduti dal gommone. Ma cosa pensi? "E' come se un'ambulanza che fa servizio a Firenze fosse stata mandata a Lisbona". "E a chi ci chiama vicescafisti - aggiunge Massimo Belletti, anche lui di Sos Mediterranee - dico che siamo solo persone che aiutano altre persone in mare, tutto qua". Nicola Stalla è il coordinatore dei soccorsi a bordo dell'Aquarius. "C'è rabbia, tanta rabbia, perché chi dice portateli in Francia o Spagna non sa cosa dice. E' stato un atto irresponsabile. Le persone salvate in mare vanno portare nel porto sicuro più vicino". Parole che Claudia Lodesani, presidente di Msf Italia, sottoscrive. "Noi torneremo, dobbiamo vedere come ma torneremo, perché i bisogni rimangono, così come i motivi per cui siamo andati in mare. Chiudere i porti è disumano, mi appello al governo italiano e all'Europa, affinché venga creata un sistema di ricerca e soccorso condiviso. Perché non è solo l'Italia il problema". Servirebbe, insomma, una vera politica europea. E se proprio dalla questione dei migranti nascesse un'Europa diversa? "Questo è il libro dei sogni".

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Le ore passate a tranquillizzare i migranti che quella lunga sosta in mare sarebbe stata solo temporanea, il soccorso a una donna che provava ad allattare mentre vomitava, le confessioni di un ragazzo violentato più volte in Libia. E finalmente il sorriso sui volti di tutti alla vista di Valencia, a testimonianza del buon lavoro fatto. I medici a bordo dell'Acquarius hanno lavorato quasi ininterrottamente per garantire ai 629 migranti di approdare nelle migliori condizioni dopo il veto da parte dell'Italia di attraccare sulle sue coste. Adesso però è il momento delle riflessioni, che si possono fare serenamente perchè tutto è andato a finire bene. E' il momento dei racconti, e delle puntualizzazioni su un mestiere difficile e pericoloso, quello di salvare le vite strappandole al mare. "#Aquarius non è una nave da crociera. È una nave di ricerca e soccorso in mare. Non è fatta per accogliere persone per più di 2, 3, 4 giorni. Ricordo l'immagine di una donna che cercava di allattare suo figlio mentre vomitava", è l'immagine scattata nelle righe twittate da Aloys Vimard, coordinatore #MSF a bordo dell'Acquarius. "E' andato tutto bene, tutto come volevamo", tira un sospiro di sollievo la dottoressa Maria Rita Agliozzo che sorride nel porto di Valencia, dopo cinque giorni a bordo di nave Dattilo per assistere e curare i migranti. Agliozzo, assieme all'infermiera Marika Giustiniani, fa parte del Corpo italiano di soccorso dell'Ordine di Malta (Cisom) che dal 2008 fornisce il personale sanitario a bordo delle motovedette e delle navi della Guardia Costiera italiana e che da allora ha assistito 200mila persone. "La nostra esperienza si conclude oggi - afferma - abbiamo collaborato con la Guardia Costiera. Alla fine tutto è andato bene". I cinque giorni in mare sono però serviti per parlare più approfonditamente con i migranti. "Ci ha colpito molto - racconta Marika Giustiniani - la storia di un fratello e una sorella eritrei di 15 e 17 anni. Sono scappati dal loro paese e si erano persi di vista. Poi si sono ritrovati in Libia e sono riusciti a vivere insieme fino a quando sono partiti". Per loro la durata del viaggio fino a Valencia non è stato dunque un problema. "Erano molto contenti di arrivare in Europa - aggiunge Marika - in un posto molto diverso dal loro paese, dove poter creare qualcosa di nuovo rispetto a quello che li avrebbe aspettati in Eritrea". Ricorda i momenti difficili Sidonie Nsiako, operatrice del Camerun di Intersos a bordo di nave Dattilo della Guardia costiera: "Abbiamo dovuto fare di tutto per spiegare ai migranti di non mollare. Abbiamo detto loro più volte che il viaggio era lungo ma alla fine ce l'avrebbero fatta e stamattina, quando hanno visto la città, hanno cantato e ballato. Ringraziavano dio per essere finalmente arrivati. Ora sono tranquilli - spiega Sidonie - ma hanno vissuto momenti difficili. Abbiamo dovuto fare di tutto per mantenerli calmi e tenerli occupati, per fare in modo che non pensassero a quello che avevano visto". Alcuni hanno raccontato quando sono finiti in acqua. Tra loro anche un ragazzo che in questi giorni è rimasto sempre in disparte. Poi si è aperto. "Mi ha raccontato - dice Sidonie - che in Libia lo hanno violentato più volte. Era sempre triste e solo, ma ieri finalmente ha iniziato a sorridere".

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