ROMA - Una presenza silenziosa ma in aumento nel nostro Paese. Si moltiplicano i jihadisti in Italia e i provvedimenti di espulsione degli aspiranti terroristi hanno raggiunto un nuovo record, registrando il primato in Europa: i fanatici della guerra santa a cui viene imposto di lasciare il Paese sono 106 dall'inizio dell'anno, dieci ogni mese. Con qualche eccezione, visto che il rimpatrio non è possibile in tutti i territori di origine. E l'Sos circola anche negli ambienti frequentati dai giovanissimi, in particolare nelle scuole, dove si fa sempre più stretta la collaborazione tra la filiera dell'intelligence dell'Antiterrorismo e gli istituti. Ma il focolaio principale degli aspiranti lupi solitari restano le carceri, dove anche dietro le sbarre gli estremisti islamici festeggiano ad ogni notizia di attentati in Europa.

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Il numero crescente di radicalizzati ha fatto lievitare le cifre delle espulsioni italiane in confronto a quelle europee, dove il nostro Paese detiene il primato. Nel 2018 la media è salita del 30%, con quasi undici soggetti espulsi ogni mese (rispetto agli otto al mese del 2017), secondo i provvedimenti presi dal Ministero dell'Interno, le Prefetture e le autorità giudiziarie, raggiungendo quota 343 soggetti negli ultimi tre anni. Di questi, tre sono stati colpiti oggi dal provvedimento: si tratta di due marocchini e un egiziano. Dati che confermano le cifre generali, secondo cui gli estremisti espulsi sono soprattutto maghrebini. Ed è proprio dalla Tunisia che arrivavano alcuni criminali della rete di Amri, l'autore della strage al mercatino di natale di Berlino ucciso nel 2016 a Sesto San Giovanni. Tra questi, cinque erano stati poi arrestati in un'operazione dello scorso marzo. Ma tra gli espulsi ci sono anche diversi mediorientali o provenienti delle regioni balcaniche. E' il caso della 44enne militante albanese dell' Isis, espulsa ieri, che da tempo si occupava di reclutare altre donne disposte a servire lo Stato Islamico e a raggiungere la Siria. Non sempre però i jihadisti lasciano i nostri territori. Il 3% delle persone straniere colpite dal provvedimento non viene rimpatriato nel proprio Paese e resta in Italia, pur essendo costantemente monitorato. Si tratta soprattutto di persone originarie di Paesi considerati 'non collaborativi' oppure dove sono presenti scenari di guerra, come Niger, Nigeria, Eritrea e Somalia.

L'attività dell'intelligence, che non si concentra solo sull' individuazione dei jihadisti, tiene sempre più sotto osservazione la fase di radicalizzazione a cui sono esposti soprattutto i più giovani. E' per questo che l'allarme è stato lanciato anche nelle scuole: i servizi del dipartimento antiterrorismo sono in costante contatto con i vari uffici Digos anche per ricevere informazioni e denunce da parte dei dirigenti scolastici degli istituti, sulla segnalazione di eventuali comportamenti deviati da parte degli studenti. E' grazie a questo tipo di collaborazione che nei mesi scorsi è stato possibile evitare le conseguenze del comportamento di un giovane 15enne di Udine e di origini maghrebine, che lo scorso aprile è stato individuato dagli agenti. Il ragazzo era talmente radicalizzato alla causa jihadista da essere forse pronto a realizzare un dispositivo rudimentale e compiere un'azione nella sua scuola. Casi del genere necessitano altri tipi di intervento, con percorsi di 'deradicalizzazione' attraverso team di psicologi ed esperti. Nonostante tutto, manca un piano strategico strutturato nazionale in materia di prevenzione della radicalizzazione o per il recupero e il reinserimento sociale dei soggetti coinvolti: la proposta di legge a firma del magistrato Stefano Dambruoso in materia di prevenzione della radicalizzazione risulta bloccata dalla conclusione della precedente legislatura.

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