Bruxelles - Ad agosto in Italia gli arrivi dei migranti dalla Libia sono diminuiti dell'81% rispetto allo stesso mese del 2016. Il calo è stato sensibile anche a luglio: meno 66% rispetto al luglio dell'anno precedente. I primi dati dopo l'estate sul flusso dei migranti provenienti dalla Libia e diretti nella penisola sono stati presentati a Bruxelles dal commissario europeo alla Migrazione, Dimitris Avramopoulos.

Il trend si riflette anche in Europa: nonostante sia stata superata quota 100mila arrivi, il totale dei primi 8 mesi rispetto allo stesso periodo del 2016 fa registrare - secondo Frontex - una riduzione del 13%. D'altra parte, ha osservato Fabrice Leggeri, direttore dell'Agenzia europea delle guardie di frontiera e costiera, a luglio il flusso è dimezzato rispetto a giugno, e ad agosto il numero è crollato di un altro 50%. E' invece aumentato "di 2,5 volte" il flusso dal Marocco verso la Spagna. Ma Leggeri ha anche specificato che al momento non ci sono prove che sia conseguenza del blocco della rotta attraverso la Libia. A puntare sulla Spagna sarebbero per lo più marocchini e gente del Maghreb occidentale.

RIMPATRI - Leggeri ha anche posto l'accento sui ritorni dei migranti irregolari, che stanno accelerando nonostante le grandi difficoltà logistiche e legali delle operazioni (prima fra tutte quella di ottenere documenti di viaggio dai paesi di origine). Nei primi otto mesi dell'anno, ha indicato il direttore dell'agenzia, Frontex ha già organizzato 220 voli di rimpatrio, pari a oltre 10mila persone, alle quali vanno aggiunte 500 riammesse in Turchia. In tutto il 2016 erano stati organizzati 232 voli con 10.700 migranti, nel 2015 66 voli con circa 5.500 persone e nel 2014 39 voli per 2.000 persone. "In tre anni il numero dei voli è stato moltiplicato per dieci", ha osservato Leggeri, insistendo sulla necessità di "creare un sistema europeo dei ritorni" per sanare le differenze legislative tra gli stati membri che complicano ulteriormente la situazione.

RICOLLOCAMENTI - Oltre alle nuove statistiche, è arrivata la sentenza della Corte di giustizia europea che, rigettando il ricorso di Ungheria e Slovacchia contro i ricollocamenti da Italia e Grecia, riafferma in pieno il principio di solidarietà europea nella gestione dei profughi.

Il meccanismo della 'relocation' fino ad oggi ha consentito il trasferimento di 27.695 profughi: 19.244 dalla Grecia e 8.451 dall'Italia. Sono in tutto 28.300 i richiedenti asilo (soprattutto siriani ed eritrei) candidabili alla redistribuzione, arrivati in Italia nel 2016 e 2017: di questi solo 11mila sono stati registrati. Degli 11mila ne sono stati ricollocati 8.451. Per questo la Commissione europea sollecita ad "accelerare come priorità l'identificazione e la registrazione dei profughi candidabili" ed accelerare il trattamento delle richieste.

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Secondo gli osservatori, alla fine del programma (dovranno essere trasferiti tutti i profughi candidabili arrivati fino al 26 settembre 2017) tra Italia e Grecia si sarà totalizzata più o meno la ridistribuzione del 40% dei 98mila previsti dalla decisione del Consiglio Ue. "Questo non perché il programma non funziona - spiegano a Bruxelles, difendendo il meccanismo dalle accuse di flop - ma perché l'accordo con la Turchia ed il piano varato con l'Africa, ed in particolare con la Libia, hanno portato a flussi ridotti". Per questo - viene spiegato - non ci sarà necessità di estendere il meccanismo delle relocation, mentre si punterà sui reinsediamenti dei richiedenti asilo dalla Libia e dai Paesi vicini.

Secondo indiscrezioni infatti, la Commissione lancerà, entro la fine di settembre, un programma da 40mila resettlement. Malta e la Lettonia hanno già rispettato i propri impegni in materia di assegnazioni per la Grecia, mentre altri, Finlandia, Lituania, Lussemburgo e la Svezia, sono ormai prossimi al traguardo. Malta e la Finlandia hanno quasi raggiunto il loro obiettivo nei confronti dell'Italia. Anche l'Austria ha iniziato a ricollocare dall'Italia e la Slovacchia si sta preparando.

CAMPI IN LIBIA E DIRITTI UMANI - L'alto commissario dell'Onu per i diritti umani, Zeid Ra'ad Al Hussein, si è detto "scioccato" dai rapporti secondo i quali sono le milizie a fermare e trattenere i migranti che vogliono lasciare la Libia. Così da Ginevra ha lanciato un severo monito. "L'Ue e i suoi Stati membri devono garantire che qualsiasi accordo di cooperazione con la Libia rispetti pienamente i diritti e la dignità dei migranti", ha detto Ra'ad Al Hussein, aggiungendo che "impedire la ricerca ed il salvataggio, mettere in pericolo i migranti in difficoltà in mare e rimandare chiunque in un luogo dove potrebbe affrontare torture o altri gravi abusi costituirebbe una violazione degli obblighi previsti dalla legge del mare e dal diritto internazionale in materia di diritti umani". Ed ha puntualizzato che "nessun essere umano può essere mai e in nessun caso, deportato dove affronta la possibilità di tortura e violazioni dei diritti umani". I portavoce della Commissione intanto continuano a ripetere che Bruxelles lavora per migliorare le condizioni di vita nei campi.

BLOCCO VISEGRAD - Ma a Bruxelles e a Roma c'è poco di cui stare tranquilli: dalle cancellerie di Budapest, Varsavia e Praga sono infatti già arrivate nuove dichiarazioni di 'guerra'. L'unica capitale dei Visegrad a fare eccezione è Bratislava, che seppur critica, rispetterà la sentenza della Corte di giudizia europea. "La Corte di Giustizia Ue ha affermato che esiste un dovere e un vincolo di solidarietà. Non è un principio italiano o greco ma europeo", commenta il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, mentre il ministro degli Esteri Angelino Alfano, nel rilevare: "la Corte di Giustizia ci dà ragione", sollecita "il superamento delle vecchie regole di Dublino".

In effetti, non ci sono più alibi o ambiguità. Gli Stati Ue dovranno partecipare alle relocation, e il dato politico cruciale, è che la sentenza della Corte Ue rafforza legalmente il sistema di quote di ridistribuzione obbligatorie, nei casi di emergenza, come strumento per far fronte alle situazioni di crisi. Il meccanismo è al centro del negoziato sulla proposta per riformare il regolamento di Dublino, finito nelle secche ormai da mesi, proprio per la netta opposizione dei Visegrad. "Bisogna andare avanti con le relocation e le procedure d'infrazione" avviate, "contro chi non rispetta la decisione", incita il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. Se non ci sarà ravvedimento, i governi 'ribelli' non eviteranno "il deferimento alla Corte di giustizia", avverte il commissario Ue alla migrazione Dimitris Avramopoulos.

Ma Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca sembrano ben lontane dal voler abbassare la testa. Il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjarto definisce la decisione della Corte Ue "oltraggiosa e irresponsabile. E' politica, non giuridica, e minaccia il futuro e la sicurezza dell'Europa". La premier polacca Beata Szydlo fa sapere che "non cambia la posizione del governo sulle politiche di immigrazione". Mentre il presidente ceco Milos Zeman è dell'opinione che la Repubblica ceca non debba piegarsi: meglio rinunciare ai finanziamenti europei, che sottoporsi al meccanismo delle quote di migranti. Unica voce fuori dal coro è la Slovacchia. Il capo della diplomazia di Bratislava ha fatto sapere che la cancelleria si adeguerà, anche se resta convinta che le quote non funzionano. "Chi non accetta di ricollocare calpesta i principi costituenti del progetto europeo", sottolinea il sottosegretario alle Politiche Ue Sandro Gozi, facendo presente che l'Italia continuerà a chiedere la chiusura dei rubinetti dei fondi strutturali per "i Paesi che si chiamano fuori". "Non si può essere europeisti quando si va all'incasso e nazionalisti quando si dovrebbe offrire solidarietà".

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