Bruxelles - Finlandia e Svezia: oltre alle armi c'è di più. Democrazia, valori comuni, militanza nella Ue. E naturalmente eserciti moderni, già abituati a operare in stretto contatto con l'Alleanza Atlantica. Dunque la Nato, qualora i due Paesi scandinavi decidessero di aderire, spalancherebbe loro le porte. "Li accoglieremo a braccia aperte", ha tagliato corto il segretario generale Jens Stoltenberg. "Con loro - ha spiegato - l'Alleanza sarebbe più forte e sono certo che la procedura di ratifica avverrebbe rapidamente". Più Nato dunque. Per le ire di Russia (ovvio) e Cina (pure). La precisazione è importante perché il trattato di Washington prevede appunto che le nazioni entranti "aggiungano sicurezza" al blocco, non il contrario; al quartier generale di Bruxelles pochi dubitano che in tempi brevi si salga a 32 alleati. A conti fatti, un altro fallimento di Vladimir Putin. "Solo nel maggio scorso - confida un alto funzionario Nato - Finlandia e Svezia ribadivano che entrare nell'Alleanza non era una priorità". La partnership esterna soddisfaceva le esigenze di sicurezza ed era gradita alla gente, modificare lo status quo avrebbe richiesto spesa di capitale politico. Ora è il contrario. "E' l'opinione pubblica ad aver cambiato passo", nota la fonte. Quindi i governi si adoperano, pur con le dovute procedure parlamentari in corso. Ma i tempi sono maturi. Sarebbe "strano", dicono diversi osservatori, se non si chiudesse in tempo per il summit di Madrid di fine giugno, dove la Nato approverà il suo Piano Strategico 2030, documento d'importanza seconda solo al Trattato di Washington, inchiodato al mondo del 2010. Ovvero un'era geologica fa.

Un aspetto molto dibattuto in questi giorni è cosa fare nell'interregno. Dunque dal momento in cui Finlandia e Svezia si dichiareranno a quello in cui entreranno effettivamente nella Nato (per la quasi totalità degli Alleati servono le ratifiche parlamentari). Una fase delicata perché saranno sprovviste della garanzia dell'articolo 5. E se la Russia attacca? Stoltenberg ha chiarito che sono già in corso "trattative" per efficaci "garanzie di sicurezza". Londra e Washington, a quanto si apprende, sarebbero disposte a scoprirsi in prima persona. E poi c'è sempre l'articolo 42.7 del Trattato di Lisbona, che offre la mutua assistenza dei Paesi membri dell'Ue. In realtà alla Nato vivono tutto ciò quasi come un esercizio accademico: Mosca, è il ragionamento, non ha la capacità di aprire "secondi fronti" - peraltro con eserciti ben più potenti ed equipaggiati di quello ucraino. Il dibattito semmai è focalizzato sulla Nato del futuro. Nello Strategic Concept del 2010 la Cina non era neppure menzionata e la Russia era vista come un possibile "partner strategico". Figuriamoci. Stoltenberg ha chiarito che Pechino non è (ancora) definita come un "nemico" ma che la sua ascesa "pone dei rischi". Perché non condivide i valori democratici, si sta armando, vuole controllare le infrastrutture tecnologiche (vedi 5G) e collide con gli interessi euroatlantici in varie aree (Africa e Artico, per dire). Ecco perché la Nato deve aggiornarsi. Tanto che Londra parla apertamente di una "global" Nato: non con nuovi membri ma con partnership, ad esempio, nell'indopacifico. La Cina non gradisce. "La Nato è frutto della Guerra Fredda e uno strumento per cercare l'egemonia", tuona Pechino. "Ha già creato problemi in Europa (gli bombardò l'ambasciata a Belgrado nel 1999, ndr), rovinerà anche l'Asia-Pacifico e il mondo intero?". Insomma, forse non ancora nemici, ma amici neppure.

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