Bruxelles - “Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia urgente e potenzialmente irreversibile per le società umane e per il pianeta”, recitava il presupposto della Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici , COP 21 o CMP 11, tenutasi a Parigi dal 30 novembre al 12 dicembre del 2015.

La conferenza si proponeva di concludere, per la prima volta in oltre 20 anni di mediazione da parte delle Nazioni Unite, un accordo vincolante e universale sul clima, volto alla “massima cooperazione di tutti i paesi”, con l’obiettivo di “accelerare la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra”.  Corretto, limato e rivisto in 12 giorni e notti di negoziati a Le Bourget, alle porte della capitale francese, il documento è stato presentato con 16 ore di ritardo rispetto alla chiusura prevista per la conferenza. Ma alla fine le delegazioni di 196 paesi hanno appianato le divergenze e hanno appoggiato l’accordo.

A due anni di distanza dall’accordo, raggiunto a Parigi con il consenso dei rappresentati dei 196 paesi partecipanti, le reticenze nei confronti della sua attuazione sono ancora molte, come dimostra la mancata dichiarazione congiunta del G7 dei ministri dell’energia del 10 aprile 2017, dove non è stato possibile rinnovare l’intenzione di rispettare gli impegni di Parigi, a causa della revisione delle proprie politiche climatiche da parte degli Stati Uniti.

Ecco i punti principali dell'accordo finale della Cop 21 e della decisione che lo accompagna.

RISCALDAMENTO GLOBALE - L'articolo 2 dell'accordo fissa l'obiettivo di restare "ben al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali", con l'impegno a "portare avanti sforzi per limitare l'aumento di temperatura a 1,5 gradi".

OBIETTIVO A LUNGO TERMINE SULLE EMISSIONI - L'articolo 3 prevede che i Paesi "puntino a raggiungere il picco delle emissioni di gas serra il più presto possibile", e proseguano "rapide riduzioni dopo quel momento" per arrivare a "un equilibrio tra le emissioni da attività umane e le rimozioni di gas serra nella seconda metà di questo secolo".

IMPEGNI NAZIONALI E REVISIONE - In base all'articolo 4, tutti i Paesi "dovranno preparare, comunicare e mantenere" degli impegni definiti a livello nazionale, con revisioni regolari che "rappresentino un progresso" rispetto agli impegni precedenti e "riflettano ambizioni più elevate possibile". I paragrafi 23 e 24 della decisione sollecitano i Paesi che hanno presentato impegni al 2025 "a comunicare entro il 2020 un nuovo impegno, e a farlo poi regolarmente ogni 5 anni", e chiedono a quelli che già hanno un impegno al 2030 di "comunicarlo o aggiornarlo entro il 2020". La prima verifica dell'applicazione degli impegni fissata al 2023, i cicli successivi saranno quinquennali.

LOSS AND DAMAGE - L'accordo prevede un articolo specifico, l'8, dedicato ai fondi destinati ai Paesi vulnerabili per affrontare i cambiamenti irreversibili a cui non possibile adattarsi, basato sul meccanismo sottoscritto durante la Cop 19, a Varsavia, che "potrebbe essere ampliato o rafforzato". Il testo "riconosce l'importanza" di interventi per "incrementare la comprensione, l'azione e il supporto", ma non può essere usato, precisa il paragrafo 115 della decisione, come "base per alcuna responsabilità giuridica o compensazione".

FINANZIAMENTI - L'articolo 9 chiede ai Paesi sviluppati di "fornire risorse finanziarie per assistere" quelli in via di sviluppo, "in continuazione dei loro obblighi attuali". Più in dettaglio, il paragrafo 115 della decisione "sollecita fortemente" questi Paesi a stabilire "una road map concreta per raggiungere l'obiettivo di fornire insieme 100 miliardi di dollari l'anno da qui al 2020", con l'impegno ad aumentare "in modo significativo i fondi per l'adattamento”.

TRASPARENZA - L'articolo 13 stabilisce che, per "creare una fiducia reciproca" e "promuovere l'implementazione" stabilito "un sistema di trasparenza ampliato, con elementi di flessibilità che tengano conto delle diverse capacità".

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