Le perdite economiche totali riportate a causa degli eventi climatici estremi nei 33 Paesi dello spazio economico europeo (See) nel periodo 1980-2016 sono ammontate a oltre 450 miliardi di euro. Il calcolo è della Agenzia europea per l'Ambiente che oggi ha presentato al Comitato delle Regioni il rapporto sull'adattamento ai cambiamenti climatici e la riduzione del rischio da disastri nell'Ue. La maggior parte dei danni è stata causata dalle inondazioni (40%), seguite da tempeste (25%), siccità (circa il 10%) e ondate di calore (circa il 5%). La copertura assicurativa di tutti questi rischi è in generale circa del 35%.

Tra il 1980 e il 2015 l'Italia ha subito danni per 64,9 miliardi di euro a causa di eventi climatici estremi. Nel solo 2017, il nostro paese ha dovuto affrontare la valanga di Rigopiano (18 gennaio), gli incendi a Roma durante l'estate e l'alluvione a Livorno del 9 settembre. Emergenze che richiedono procedure coordinate da parte di governo e amministrazioni che spesso, però, non vengono attivate correttamente. Secondo l'Agenzia europea per l'Ambiente, tra i 33 paesi dello spazio economico europeo (See), la Penisola ha registrato le perdite economiche più ingenti ed è il secondo per numero di vittime, oltre 20mila, dopo la Francia (23mila). Nelle rapporto sull'adattamento ai cambiamenti climatici e la riduzione del rischio da disastri nell'Ue, si indica inoltre il nord Italia come una delle aree che in futuro potrebbero vedere aumentato il rischio alluvione, insieme alle isole britanniche e all'Europa occidentale.

OPHELIA - In ordine cronologico, l'ultima calamità naturale che si è abbattuta con violenza sull'Europa causando morti, feriti, danni e grandi disagi nei trasporti è stato l'uragano Ophelia. Il fenomeno sta interessando in queste ore Irlanda e Gran Bretagna (in particolare Galles e Scozia), ma i suoi fortissimi venti hanno prodotto un 'effetto collaterale' alimentando vasti incendi in Portogallo e causando un inferno con 35 morti. 

Secondo gli esperti, è il fenomeno atmosferico più devastante che si sia abbattuto negli ultimi cinquant'anni sull'isola di smeraldo. Primo uragano in arrivo dall'Atlantico, una volta raggiunte le isole britanniche Ophelia è diventata una "storm", e quindi una tempesta, ma i suoi venti hanno soffiato a velocità da record: oltre 170 chilometri orari sono stati rilevati nel celebre Fastnet Rock, uno scoglio nel punto più meridionale dell'Irlanda. E proprio nel sud del Paese si sono registrati due morti, una signora di 50 anni intrappolata in un'automobile colpita in pieno da un albero e un 30enne che tentava con una motosega di tagliare un tronco abbattuto dai venti. Mentre un altro uomo ha perso la vita al confine con l'Irlanda del Nord, anche in questo caso per un albero che ha travolto la sua auto. Intanto l'intera nazione è stata definita dai media in "lockdown", con le scuole chiuse, centinaia di voli cancellati (130 solo a Dublino), e soprattutto vaste zone del Paese senza corrente elettrica: si contano infatti oltre 360 mila utenti al buio e il 5-10% di questi rischiano di restare in quella situazione per oltre una settimana. In Irlanda del Nord si contano 18 mila famiglie senza corrente elettrica e le scuole restano chiuse per precauzione. Il servizio meteorologico nazionale del Regno Unito (Met Office) ha emesso numerose allerte maltempo che riguardano il Galles, la Scozia meridionale e il nord dell'Inghilterra. Proprio in questi giorni, 30 anni fa, nel 1987, il Great Storm colpiva le isole britanniche e il nord della Francia lasciando dopo il suo passaggio 22 vittime.

Ophelia ha anche un tragico effetto collaterale: i suoi venti impetuosi hanno infatti alimentato centinaia di incendi divampati nella penisola iberica, in particolare in Portogallo, con un bilancio provvisorio di 35 morti, tra cui un bambino, e altre 7 persone disperse. La causa principale delle fiamme è rappresentata dalle temperature superiori alla media stagionale, sopra i 30 gradi, aggravate da una prolungata siccità, a cui si sono aggiunte le raffiche dell'uragano. Non si tratta dell'unico effetto collaterale prodotto da Ophelia. Un sole rosso è spuntato qua e là in Inghilterra e Galles, mentre a Londra a un certo punto il cielo ha assunto una sfumatura arancione. Non solo, l'uragano è responsabile anche dell'odore di fumo avvertito in quota dagli equipaggi di alcuni aerei passeggeri in volo verso Liverpool, Manchester, Dublino e l'isola di Jersey, atterrati a scopo precauzionale senza problemi di sorta. Secondo gli esperti di meteorologia, dietro entrambi i fenomeni atmosferici ci sarebbe il pulviscolo del deserto del Sahara intercettato da Ophelia durante il suo tragitto, ma anche la cenere e i detriti polverizzati raccolti al passaggio sul Portogallo in fiamme prima di essere sparsi dal vento ai margini della sua zona d'impatto sulle isole britanniche.

COME SI FORMANO E SI MISURANO GLI URAGANI - In base al vento viene fatta la classificazione di fenomeni come Ophelia. La scala d'intensità, messa a punto dall'ingegnere Herb Saffir e dal metereologo Bob Simpson nel 1969, si basa sulla misurazione della massima velocità continua del vento rilevata a 10 metri di altezza ed è divisa in due parti, con due categorie iniziali riservate alle tempeste (da 0 a 62 km/h e da 63 a 177 km/h), seguite da altre cinque per gli uragani, l'ultima delle quali, definita 'catastrofica', con venti che superano i 250 chilometri orari. La scala non tiene in conto effetti collaterali come rovesci d'acqua e inondazioni. Anche i tornado o trombe d'aria, che possono scaturire anche dalle perturbazioni provocate dagli uragani oltre che dai 'normali' temporali, hanno una scala di intensità di cinque gradi, la scala Fujita, che prende il nome dal professore dell'Università di Chicago che l'ha ideata nel 1971, e che va da 'debole' (64-116 km/h) a 'incredibile' (420-512 km/h). Contrariamente ai tornado, che si formano all'improvviso e non permettono di allestire difese, l'uragano ha una origine lenta e i suoi spostamenti possono essere seguiti e anticipati. La stagione, nell'oceano Atlantico, va generalmente da giugno a novembre e viene attentamente monitorata dai satelliti. Gli uragani, così chiamati nel mondo anglosassone, hanno nomi diversi in altre parti del mondo: "willi willy" in Australia, "baguio" nelle Filippine, ciclone in India, tifone nell'area del Pacifico. Si formano nelle zone tropicali e subtropicali, quando la temperatura del mare raggiunge i 25-27 gradi, formando perturbazioni tropicali che portano in alto l'aria calda e umida. Questa arrivata in quota si condensa e attira altra aria calda, provocando così una sorta di reazione a catena. Nel frattempo, le correnti d'aria circostanti cominciano a ruotare in senso antiorario (in senso orario nell'emisfero meridionale) a causa della rotazione terrestre, trascinando con sé le nuvole della perturbazione. Quando i venti circolari della perturbazione si stabilizzano raggiungendo i 100 chilometri all'ora, è nato un uragano. L'unica zona tranquilla di un uragano è il suo centro, l'occhio, ma la zona attorno all'occhio sono di solito quella in cui i venti soffiano con più violenza. Man mano che sale a nord, l'uragano dissipa la sua energia. Giunto sulla terraferma, a causa della frizione dei venti con il suolo, l'uragano comincia a indebolirsi in modo consistente e poi si disintegra, a meno che non venga alimentato di nuovo dal calore e dall'umidità del mare.

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