Roma - Una corsa contro il tempo con scadenze anche a Ferragosto. Le prime elezioni estive della storia in Italia, programmate per il 25 settembre, costringono i partiti a cancellare le ferie, a indire riunioni e segreterie senza soluzione di continuità e, soprattutto, a dover correre per la presentazione delle liste. Il timing di questo sprint sotto il solleone è scadenzato minuziosamente dalle leggi e non permette distrazioni. E potrebbe anche diventare la normalità visto che in futuro - ovvio, siamo in Italia e non è per nulla scontato - la scadenza naturale della legislatura cadrà intorno a luglio. Non era infatti mai successo dal 1948 ad oggi che gli italiani fossero chiamati a votare nella seconda metà dell'anno. Prepariamoci quindi a una campagna elettorale in short e sotto l'ombrellone anche se in realtà si partirà ufficialmente solo un mese prima del voto cioè il 25 agosto.

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Il calendario implacabile almanacca queste scadenze che sembrano a prima vista formali ma sono delle vere e proprie dead line da non superare. Nel frattempo su Twitter già sale l'hashtag #iononvoto.

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A Bruxelles, dopo i reiterati appelli a favore di Mario Draghi, con lo scioglimento delle camere è calato il silenzio. la Commissione non entra usualmente negli affari interni dei Paesi membri, e in questo caso la regola vale ancora di più: esporsi a favore di un governo che volge al termine potrebbe essere perfino imprudente. Soprattutto perché nessuno sa, dopo il 25 settembre, chi terrà le redini dell'Italia. A Palazzo Berlaymont si limitano a ricordare, ancora una volta, la strettissima cooperazione tra Ursula von der Leyen e Draghi e la ferrea volontà che la collaborazione con Roma continui. Auspicio ovviamente condiviso a Washington, dove, già nelle drammatiche ore del voto al Senato, veniva assicurato che la cooperazione con l'Italia proseguirà comunque. A parlare invece è stata Mosca. Con un duplice obiettivo: smarcarsi dall'accusa di eventuali ingerenze e girare il sospetto nella direzione dell'Occidente. "Ma che c'entriamo noi con la crisi italiana?", è stata la reazione a caldo della portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova. Salvo poi puntualizzare: "Abbiamo sempre considerato l'Italia un Paese sovrano e indipendente. Se non viene considerata tale altrove, questo non ha nulla a che fare con la Russia". A Bruxelles, tuttavia, non la pensano così. Solo alla fine di giugno una delegazione del Copasir, in missione in Ue, concordava una stretta collaborazione con la commissione speciale dell'Eurocamera contro le ingerenze nelle democrazie Ue.

Di sicuro il Next Generation Ue non attende né le elezioni in Italia né quelle negli altri Stati membri, che non autorizzano in alcun modo a 'congelare' la richiesta delle tranche semestrali per i prestiti e le sovvenzioni europee. L'articolo 24 del regolamento sul Recovery and Resilience Facility fa chiarezza su uno dei tanti rebus legati al voto del 25 settembre in Italia. Roma, teoricamente, può dilazionare la richiesta della seconda tranche di fondi del 2022 all'anno prossimo senza incorrere in alcuna penalità ma, in ogni caso, dovrà rispettare da qui al 2026 il tetto delle due richieste l'anno. In caso di slittamento, insomma, i conti potrebbero non tornare e, comunque, una tranche di risorse potrebbe andare persa. L'articolo 24, comma 2 disciplina che "dopo aver raggiunto i traguardi e gli obiettivi concordati e indicati nel piano" in conformità a quanto previsto dal Regolamento "lo Stato membro presenta alla Commissione una richiesta debitamente motivata relativa al pagamento del contributo finanziario e, se del caso, del prestito. Gli Stati possono presentare tali richieste di pagamento due volte l'anno". Il testo, come spiegano fonti dell'esecutivo Ue, non contiene quindi alcuna clausola in caso di elezioni. Anche perché, osservano le stesse fonti, in tal modo si andrebbe a intaccare un principio cardine del Recovery Plan: che gli obiettivi e i corrispettivi esborsi, disseminati in un quinquennio, si applicano a prescindere da quale sia il governo alla guida di un Paese. Roma se a dicembre riterrà di non aver raggiunto gli obiettivi previsti per la seconda parte dell'anno potrà evitare di chiedere i finanziamenti Ue, facendo slittare la richiesta al primo semestre del 2023. Ma creando così un effetto domino che, in teoria, porterebbe alla rinuncia dell'ultima tranche di risorse prevista per il 2026. L'eventuale slittamento sull'Italia pesa di più che su altri Paesi per un semplice motivo: l'enorme quantità di risorse assegnate a Roma ha previsto, all'inizio, le due richieste all'anno. Per altre capitali non è così. L'Olanda, ad esempio, bloccata per mesi dalla ricerca di una maggioranza da parte di Mark Rutte, ha presentato il suo piano solo all'inizio di luglio, Ma il timing delle sue richieste di risorse consente ampio spazio di manovra, trattandosi di 4,7 miliardi in sovvenzioni. 'Spiccioli' in confronto ai 191,48 miliardi concordati per l'Italia. Al momento l'unico Paese senza il via libera al suo Pnrr è l'Ungheria sulla quale permane l'insoddisfazione di Bruxelles su una serie di riforme alla quale Budapest è chiamata. Il governo italiano, per ora, ha rispettato le scadenze previste. Alla fine di giugno è stata presentata la domanda per la prima tranche dell'anno, da 21 miliardi. "Tutti gli obiettivi sono stati raggiunti", ha più volte ripetuto il premier Mario Draghi. La Commissione pubblicherà la sua valutazione tra la fine di agosto e gli inizi di settembre. Poi spetterà al Comitato Economico e Finanziario ufficializzare l'eventuale sì ai fondi.

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