Bruxelles - Mario Draghi al Quirinale è comunque una garanzia affinché l'Italia non deragli dalle riforme. L'Europa osserva con crescente attenzione il countdown partito sull'elezione del presidente della Repubblica. Il senso di "incertezza" che si respira a Roma sull'esito della partita, spiega una fonte europea, lo si percepisce anche a Bruxelles. Ma è ciò che accadrà dopo, forse, l'elemento che più preoccupa non solo le istituzioni comunitarie ma anche le cancellerie del Vecchio continente. Anche per questo, avere una figura di riferimento come l'ex governatore della Bce al Quirinale non potrebbe che rassicurare i vertici Ue. Sia chiaro: nessuno dei vertici dell'Unione si è permesso di dire una parola su una scelta che, come ha rimarcato la neopresidente dell'Europarlamento Roberta Metsola, "è di carattere esclusivamente nazionale". Ma a parlare sono i principali quotidiani europei, a cominciare dal Financial Times. Con un editoriale non firmato e quindi espressione della direzione dal titolo inequivocabile: "La premiership riformista di Mario Draghi si avvicina alla fine", recita il titolo. Per il Ft, la strada dell'attuale premier è segnata, ma non è una cattiva notizia. Viste le "turbolenze" emerse in questi giorni in Italia, "il peggior risultato sarebbero le elezioni anticipate che farebbero deragliare il piano di riforme e ripresa. In queste circostanze è meglio avere Draghi alla presidenza", è l'opinione del foglio della City che sembra rivolgersi direttamente ai leader italiani: "Coordinare l'ascesa di Draghi - si legge - e trovare un premier potrebbe richiedere che i pesi massimi dei partiti si uniscano alla squadra. Tranne Fdi, tutti hanno firmato un contratto con l'Ue quando hanno accettato il piano di ripresa. Devono assumersene la responsabilità". Il riferimento ai fondi del Pnrr non è casuale. Sull'Italia, che ha ricevuto più finanziamenti di tutti, l'attenzione dell'Ue è costantemente alta. L'ok ufficiale alla prima tranche non è ancora arrivato ma a Bruxelles si attendono che ogni Paese membro lavori all'attuazione delle riforme previste per il primo semestre 2022. E uno stallo politico in Italia - con a marzo anche la Francia chiamata a delle presidenziali dall'esito incertissimo - in Ue nessuno se lo augura. A far drizzare le antenne alla politica europea è stato poi l'ingresso in campo di Silvio Berlusconi. Il suo nome, nei giorni della Plenaria del Parlamento Ue, era tornato a riecheggiare per i corridoi di Strasburgo. Il Ppe, prima con il segretario generale Antonio Lopez e poi con il capogruppo Manfred Weber, ha sostenuto con nettezza la sua candidatura. "E' un leader forte ed esperto, e può unire", spiegava qualche giorno fa Weber. Ma la reazione del gruppo dei S&D non si è fatta attendere. "E' inaccettabile" che il Ppe sostenga il leader di FI, ed "è vergognoso, anche perché Berlusconi è sostenuto da partiti di estrema destra", ha sottolineato Jens Geier, capodelegazione dell'Spd all'Europarlamento. Per Geier, esponente del partito nel quale milita il cancelliere Olaf Scholz, Berlino e l'Ue "hanno bisogno di un'Italia forte e stabile perché in questo periodo dovremo prenderci responsabilità sempre maggiori". E Draghi, ha chiosato, "sarebbe probabilmente" molto più adatto a guidare l'Italia dal Colle più alto.

DA DE NICOLA A MATTARELLA - Bastò un solo scrutinio per eleggere presidente della Repubblica Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi, mentre ben 23 votazioni servirono per Giovanni Leone, che resta il Presidente eletto con la percentuale più bassa, il 51% delle preferenze. Il recordman di voti è stato invece Sandro Pertini, eletto con 82% di consensi. La partita del Quirinale dall'inizio della storia della Repubblica è anche una "lotteria", una battaglia tra partiti e correnti. Ecco una scheda su come sono avvenute le elezioni dei 12 presidenti, la durata del mandato e i partiti di appartenenza:

1) ENRICO DE NICOLA - capo provvisorio dello Stato, fu eletto il 28 giugno 1946 dall'assemblea Costituente con 396 voti su 501. De Gasperi dovette insistere per vincere la sua perplessità ad accettare la candidatura. Liberale fedele alla monarchia, originario di Torre del Greco, una volta eletto arrivò a Roma sulla sua automobile e rifiutò di insediarsi al Quirinale. Rinunciò anche allo stipendio da presidente. Fu presidente dal 1º luglio del 1946 al 31 dicembre 1947, la durata più breve nella storia della Repubblica Italiana.

2) LUIGI EINAUDI - Luigi Numa Lorenzo Einaudi, originario di Carrù (Cuneo), fu eletto l'11 maggio 1948. Economista, accademico e giornalista italiano, era un esponente del partito liberale, ministro del Tesoro e governatore della Banca d'Italia. Si votò due volte al giorno e al quarto scrutinio prese 518 voti su 871 votanti. Nelle prime votazioni naufragò la candidatura del candidato indicato da De Gasperi, il repubblicano Carlo Sforza, impallinato dalla sinistra Dc. Fu in carica dal 12 maggio 1948 all'11 maggio 1955.

3) GIOVANNI GRONCHI - Democristiano, originario di Pontedera (Pisa), fu eletto il 28 aprile 1955. Anche per lui solo 4 scrutini (prese 658 voti su 833 votanti) e passaggio alla prima votazione a maggioranza assoluta. Gronchi fu imposto dai franchi tiratori della destra Dc che avevano bocciato nei primi scrutini il candidato scelto da Fanfani, Cesare Merzagora. Rimase in carica fino all'11 maggio del 1962.

4) ANTONIO SEGNI - Accademico e politico, due volte presidente del Consiglio, originario di Sassari, fu eletto il 6 maggio 1962 e rimase in carica fino al 6 dicembre del 1964, quando si dimise volontariamente. Con tre votazioni in un giorno, al nono scrutinio fu eletto con 443 voti su 842 votanti. Candidato ufficiale della Dc, fu eletto senza imboscate di franchi tiratori.

5) GIUSEPPE SARAGAT - Giuseppe Efisio Giovanni Saragat, politico e diplomatico italiano, originario di Torino, fu eletto il 28 dicembre 1964. Era segretario del partito socialdemocratico e ministro degli Esteri. Si votò, oltre che alla vigilia, anche il giorno di Natale. Furono necessari 21 scrutini (prese alla fine 646 voti su 927 votanti). Nelle votazioni andate a vuoto non riuscì a imporsi il candidato ufficiale della democrazia cristiana Giovanni Leone, per l'ostilità del gruppo di Fanfani.

6) GIOVANNI LEONE - Avvocato, giurista e accademico, democristiano originario di Napoli, fu eletto il 24 dicembre 1971. Con record di 23 scrutini (prese alla fine 518 voti su 996 votanti), superò il quorum con uno scarto di soli 13 voti. Leone fu scelto dopo che andò a vuoto il tentativo di Amintore Fanfani di farsi eleggere.

7) SANDRO PERTINI - Alessandro Giuseppe Antonio Pertini, partigiano e giornalista, originario di San Giovanni (Savona), fu eletto l'8 luglio 1978. Ci vollero 16 scrutini per eleggerlo con 832 voti su 995 votanti, record di preferenze ancora imbattuto. Fu il primo socialista a essere eletto al Quirinale: ma il primo a indicarlo non fu il segretario del Psi Craxi, bensì il comunista Berlinguer.

8) FRANCESCO COSSIGA - Originario di Sassari come Segni, democristiano, ministro dell'Interno in vari governi, già premier e presidente del Senato, fu eletto il 24 giugno 1985, il più giovane Capo di Stato della storia repubblicana a 57 anni. Elezione rapidissima: tre ore esatte e un solo scrutino (prese 752 voti su 979 votanti). La sua candidatura fu costruita dal segretario Dc Ciriaco De Mita, che riuscì a convincere tutti i partiti.

9) OSCAR LUIGI SCALFARO - Politico e magistrato, originario di Novara, democristiano, fu eletto il 25 maggio 1992. Si dovette aspettare il sedicesimo scrutinio (prese 672 voti su 1002 votanti). L'elezione fu accelerata dalla strage di Capaci: nei giorni precedenti il Parlamento aveva bocciato la candidatura del segretario della Dc Arnaldo Forlani, non votato dagli amici di Andreotti che si vendicarono per la mancata candidatura del loro leader.

10) CARLO AZEGLIO CIAMPI - Economista originario di Livorno e governatore di Banca d'Italia prestato alla politica, già premier, fu eletto il 13 maggio 1999. Record assoluto di velocità: solo 2 ore e 40 minuti e un solo scrutinio Ciampi prese 707 voti su 990 votanti. Sulla sua candidatura accordo trasversale tra Veltroni, Fini e Berlusconi.

11) GIORGIO NAPOLITANO - Dirigente del Pci, originario di Napoli, fu eletto il 10 maggio 2006. Elezione rapida, al quarto scrutinio, prese 543 voti su 990 votanti. Il primo ex comunista a salire al Colle, fu votato dalla maggioranza di centrosinistra, con l'astensione del centrodestra.

12) GIORGIO NAPOLITANO BIS - Napolitano fu rieletto il 20 aprile 2013 al sesto scrutinio con 738 voti su 997 votanti. La sua rielezione avvenne dopo un disastro politico e istituzionale: al primo scrutinio fu "bruciato" Franco Marini che con 521 voti non passò il quorum dei due terzi richiesto. Ancora peggio andò a Romano Prodi che al quarto scrutinio prese solo 395 voti, tradito dagli ormai famosi 101 parlamentari del centrosinistra. Si dimise il 14 gennaio 2015.

13) SERGIO MATTARELLA - Giurista, accademico e ministro, prima nella Dc poi nella Margherita e nel Pd, originario di Palermo, fu eletto al quarto scrutinio con 665 voti, poco meno dei due terzi dell'assemblea elettiva, in una votazione che avvenne tra il 29 e il 31 gennaio 2015. La sua candidatura fu avanzata da Matteo Renzi e ottenne subito l'appoggio di Sinistra Ecologia Libertà, Scelta Civica e di vari gruppi minori della maggioranza di governo.

DAL QUORUM ALLO SPOGLIO, COME SI ELEGGE IL PRESIDENTE - Il presidente della Repubblica è eletto nell'Aula di Montecitorio dal Parlamento in seduta comune integrato da 58 rappresentanti delle Regioni: ogni regione ne elegge tre con l'eccezione della Valle d'Aosta che ne elegge uno. La seduta comune del Parlamento è convocata entro un massimo di 15 giorni dalle dimissioni del presidente ed è presieduta dal presidente della Camera. Il primo atto della seduta comune è la lettura dell'elenco dei delegati regionali. L'Aula di Montecitorio, dove si svolgono le riunioni congiunte del Parlamento, viene opportunamente risistemata per consentire a tutti i "grandi elettori" di prendere posto.

* QUANTI SONO GLI ELETTORI. Quest'anno i grandi elettori saranno 1009.

* I QUORUM. La Costituzione prevede che nelle prime tre votazioni la maggioranza richiesta per l'elezione sia quella dei due terzi dei componenti dell'Assemblea, che questa volta è di 673 voti. Dal quarto scrutinio il quorum si abbassa: per essere eletti basterà la maggioranza assoluta dei componenti dell'Assemblea, pari a 505 voti. Non c'è una prassi certa sulla cadenza delle votazioni; la seduta comune è considerata un'unica seduta anche se si sviluppa in più giorni.

* LA VOTAZIONE. Per consuetudine voteranno prima tutti i senatori, poi i deputati e quindi i delegati regionali. Quest'anno si entrerà in ordine alfabetico, 50 alla volta, con una capienza massima di 200 elettori in Aula. La "chiama" dei grandi elettori sarà ripetuta due volte. Ognuno, per assicurare la segretezza del voto, entrerà nelle cabine poste sotto il banco della presidenza, detti 'catafalchi' e scriverà il nome del candidato che intende votare nella scheda che gli viene consegnata dal commesso e che è timbrata e firmata dal segretario generale di Montecitorio. Quindi, uscito dalla cabina, l'elettore depositerà la scheda, ripiegata in quattro, nell'urna di vimini e raso verde, ribattezzata "l'insalatiera", davanti alla quale c'è un segretario di presidenza.

* LO SPOGLIO. È fatto dal presidente della Camera, che legge in Aula i nomi dei candidati uno ad uno ad alta voce. Il conto delle schede viene tenuto dai funzionari della Camera e dai componenti dell'ufficio di presidenza di Montecitorio, che si assumono il compito di scrutatori. Nel 1992 Oscar Luigi Scalfaro era presidente della Camera e lesse le schede della votazione che lo portò al Quirinale; ma, poco prima che il quorum fosse raggiunto, lasciò il posto al vicepresidente della Camera, Stefano Rodotà, e aspettò il risultato definitivo nel suo ufficio.

* I RISULTATI. Per ogni votazione vengono letti all'Assemblea al termine dello spoglio. Per essere messe a verbale, le preferenze ai candidati devono essere almeno due. Chi riceve un solo voto viene conteggiato genericamente tra i voti dispersi.

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