Roma - La prima opzione è il dialogo, ma sulla stabilità non si discute e in caso di necessità tutte le misure per fermare l'escalation sono sul tavolo. L'avvertimento a serbi e kosovari arriva senza mezzi termini dalla Kfor, la forza internazionale a guida Nato che garantisce la pace in Kosovo, con un comunicato che non lascia margini all'interpretazione delle parti. La Kfor "controlla da vicino" la situazione al confine tra Kosovo e Serbia - si legge nella nota - ed è "pronta a intervenire se la stabilità è messa in pericolo" in base al suo mandato, sancito dalle risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Il comandante della Kfor, il generale ungherese Ferenc Kajari, è in continuo contatto con tutte le istituzioni interessate, e anche con i vertici militari serbi per favorire il dialogo ma la missione "adotterà qualsiasi misura si renderà necessaria per mantenere la stabilità".

La tensione è alta, ma la preoccupazione internazionale lo è ancora di più. La guerra delle targhe che rischia di far esplodere di nuovo il Kosovo e di trasformarlo nell'Ucraina dei Balcani è solo la punta di un iceberg che affonda le radici nelle tensioni mai sopite e mai ricomposte della guerra per l'indipendenza di Pristina da Belgrado alla fine degli anni '90. E sul campo degli inviti alla calma da parte europea entra a gamba tesa Mosca in difesa del suo tradizionale alleato serbo. Questa volta il pomo della discordia è nato dalla decisone di Pristina in base alla quale la popolazione serba, che è maggioritaria nel nord del Kosovo e che resta legata alle strutture parallele che la Serbia mantiene in Kosovo, avrebbe dovuto essere in possesso dal primo agosto di documenti di identità emessi dalle autorità kosovare, ed entro fine settembre dovrà al tempo stesso sostituire le targhe automobilistiche serbe con quella kosovare. Una decisione ora rinviata di un mese in seguito alle violente reazioni dei serbi del Kosovo che hanno fatto temere il peggio. Per le proteste e i blocchi stradali serbi, Pristina ha deciso di chiudere i valichi di frontiera di Jarinje e Brnjak. Il premier kosovaro Albin Kurti ha accusato delle nuove tensioni interetniche il presidente serbo Aleksandar Vucic, che da parte sua aveva lanciato un avvertimento a Pristina esortandola a non continuare nella politica da lui ritenuta ostile ai serbi, pur chiedendo alla popolazione serba di mantenere la calma e di non cedere alle 'provocazioni' e dicendo di sperare in una "soluzione di compromesso". Che è appunto arrivata con il rinvio dell'applicazione della normativa, salutata positivamente dall'Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera Josep Borrell che ha chiesto lo stop immediato "di ogni azione unilaterale" e ricordato come "le questioni aperte dovrebbero essere affrontate attraverso il dialogo facilitato dall'Ue" e avvertito che la "normalizzazione" delle relazioni tra Kosovo e Serbia è "essenziale per i loro percorsi di integrazione nell'Ue". Tanto che l'Ue ha invitato le due parti a incontrarsi a Bruxelles per trovare una soluzione. Da parte sua il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha chiesto che i diritti dei serbi del Kosovo "siano rispettati" ammonendo i Paesi occidentali che "hanno riconosciuto il Kosovo e ne sono diventati i garanti" ad avvertire le autorità kosovare di evitare "l'adozione di misure sconsiderate". Il presidente della Duma russa, Vyachslav Volodin, è andato oltre: "La colpa del conflitto al confine serbo-kosovaro è di Washington. Lo scopo è ovvio: indebolire alcuni Paesi che si permettono di affermare posizioni indipendenti". Dalla Kfor, che a novembre tornerà sotto il comando italiano, è arrivata indiretta e immediata la risposta Via twitter. La missione è "pronta ad adottare le misure necessarie per mantenere il Kosovo al sicuro".

 L'Italia ha il contingente più consistente (638 unità) tra le 28 nazioni che forniscono militari alla Kfor, la missione Nato nel Paese acquartierata a Pristina. E dal prossimo novembre - concluso il mandato dell'ungherese Ferenc Kajari - sarà nuovamente un generale italiano a guidare l'operazione dell'Alleanza Atlantica, come avvenuto ininterrottamente dal 2013, con la parentesi dell'ultimo anno. Risale al 1999 l'avvio della missione Nato che ha il mandato di garantire sicurezza e libertà di movimento per tutte le comunità presenti in Kosovo. All'inizio i militari sotto il simbolo dell'Alleanza erano ben 50mila. C'è stata quindi progressivamente una riduzione della presenza delle forze armate multinazionali fino all'attuale consistenza di circa 3.800 unità. Ma, dopo 23 anni, la permanenza del contingente Nato nel territorio kosovaro si dimostra quanto mai necessaria per una pacifica coesistenza delle diverse etnie, come confermato dall'escalation di tensione degli ultimi giorni. L'Italia, oltre al contingente schierato in teatro, dispone di una "forza di riserva in prontezza" di circa 700 uomini, pronta ad intervenire in caso di necessità. Secondo quanto indica l'ultimo decreto missioni, oltre ad un massimo di 1.490 unità di personale (considerando anche la riserva), è autorizzato il dispiegamento di 367 mezzi terrestri e 2 aerei, per un fabbisogno finanziario di 109 milioni di euro. Nella Kfor - il vicecomandante è il generale italiano Luca Piperni - operano, tra gli altri, la Multinational specialized unit (Msu), costituita per assicurare la capacità di polizia di sicurezza con particolare riferimento alle operazioni di controllo della folla, e il Regional Command West che ha il compito di proteggere siti rilevanti ed infrastrutture anche lungo i confini con Albania, Montenegro e Macedonia del Nord, per contribuire alla sicurezza e alla libertà di movimento in tutta la regione del Balcani occidentali. La presenza Nato, viene sottolineato nella relazione tecnica del decreto missioni, "riveste un ruolo essenziale quale fattore chiave per la stabilizzazione del quadrante".

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