Roma - "Il progetto non esiste più senza i club inglesi": è l'epitaffio alla Superlega che è stato costretto a pronunciare uno dei principali fautori, Andrea Agnelli, dopo l'esodo delle sei big della Premier League. Aveva visto la luce di notte, e sempre di notte la Superlega è tornata nel buio, a sole 48 ore dall'annuncio dello strappo dei 12 club che aveva fatto tremare il calcio. Il muro di 'no' alzato dai governi, dai vertici del calcio europeo e mondiale, e dalle tifoserie è parso invalicabile e i primi ad accettarlo sono i club inglesi, messi sotto pressione da Downing Street e dai fans e indotti a ritirarsi, presentando tanto di scuse. La loro retromarcia ha fatto saltare il banco e nulla ha potuto la drammatica call notturna tra Londra, Manchester, Liverpool, Madrid, Barcellona, Torino e Milano. Agnelli e co. hanno alzato bandiera bianca. A Londra e Nyon si esulta, così come nelle altre capitali.

Una fine ingloriosa, e inattesa, vista la portata del progetto e i soggetti coinvolti, la crema del calcio europeo - col grave vulnus dell'assenza dei big di Germania e Francia -, ma anche dell'imprenditoria e della finanza. Planning, coperture, contromosse legali che dovevano rendere la Superlega un'invincibile corazzata in rotta verso il futuro si rivelano inutili come i roboanti annunci dei fondatori, tra tutti il patron del Real Madrid, Florentino Perez. Di fronte al disastro imminente, i superstiti club spagnoli e italiani hanno ipotizzato altri ingressi - evocando il Siviglia o il Napoli, la Fiorentina o il Lione -, di fatto impraticabili. Ultima mossa, la diffusione di un comunicato congiunto per annunciare "la sospensione" della Superlega, con la necessità di "rimodellare il progetto", ma nel frattempo l'Inter si era già defilata perché "non più interessata" al progetto, come anticipato dall'ANSA. Il risveglio è stato amaro. Il titolo Juve è crollato in borsa, allo Stadium di Torino campeggiava uno striscione dei tifosi bianconeri, "La nostra storia non va infangata, barattata e commercializzata". A Londra Boris Johnson ha esultato: "E' il risultato giusto per i tifosi, i club e le comunità del Paese", ha dichiarato il premier, il vero sabotatore del progetto. Anche i principe William è ricorso a Twitter per rallegrarsi del flop. E Agnelli, ammettendo la sconfitta in un'intervista, ha puntato il dito proprio contro Londra: "Se le sei inglesi si fossero staccate, avrebbero minacciato la Premier e la politica l'avrebbe visto come un attacco alla Brexit e al loro schema politico". Una lettura subito rigettata da Downing Street: "La Brexit non c'entra".

A Nyon se l'è goduta il presidente dell'Uefa, Aleksander Ceferin, che ha definito "ammirabile, da parte dei club che hanno fatto un errore, arrivare ad ammetterlo". Al momento, non sembra avere desideri di rivalsa, ma specie con Agnelli troppe e troppo dure parole e azioni ci sono state perché tutto possa essere dimenticato. Il presidente della Figc, Gabriele Gravina, ha escluso "processi, condanne o vendette trasversali. Non si può sanzionare un'idea che non si è concretizzata. Ma è un alert che deve far riflettere, qualcosa non funziona". "Una vittoria del buonsenso", ha commentato la Commissione Ue, dove crescevano i timori per una guerra legale che avrebbe messo anche a nudo le contraddizioni del sistema, tra libera concorrenza, diritti dei lavoratori, dominio della finanza. Col passare delle ore, sono arrivati anche i comunicati ufficiali di Atletico Madrid e Milan. E i tifosi, da Milano a Madrid, da Londra a Parigi, hanno esultato, dopo aver appoggiato le dure manifestazioni di protesta dei colleghi inglesi. Con loro si sono scusati i dirigenti del Manchester United e quelli del Liverpool. Paolo Maldini ci ha messo la faccia per il club rossonero, e ha chiesto scusa ("sono stati traditi i pricipi dello sport"), pur confessando di non aver saputo nulla fino all'annuncio. In serata, tutto è svanito, e si è torna a giocare in serie A, in Premier, in Liga. Per tante squadre c'è una Champions da conquistare, sul campo.

SUPERLEGA PER DRIBBLARE I DEBITI E I CONTI IN ROSSO - Tanti soldi. Ma anche tanti debiti, contratti per finanziare faraoniche campagne acquisti, nuovi stadi o semplicemente scaricati da chi ha acquistato a leva i club. E che ora, complice anche l'impatto della pandemia sui ricavi, rischiano di mettere in sofferenza i già fragili bilanci calcistici, che i promotori della Superlega avrebbero invece voluto blindare garantendosi l'ammissione di diritto e l'esclusivo sfruttamento economico di un 'circo' calcistico che punta a generare un giro d'affari di 4 miliardi di euro all'anno, il doppio della Champions League. Il difficile momento che vive il calcio, messo in ginocchio dalla pandemia, ha contribuito ad accelerare un progetto che ha suscitato veementi proteste tra i governi, gli organi calcistici, le leghe nazionali e soprattutto i tifosi, che hanno accusato i club aderenti alla Superlega di egoismo e di tradire i principi dello sport, primo tra tutti quello del merito. Secondo Deloitte, nella stagione 2019/20 i 20 club più ricchi d'Europa hanno perso il 1,1 miliardi di euro di fatturato (-12% a 8,2 miliardi) e altri 900 milioni se ne andranno quest'anno, per l'effetto sì degli stadi chiusi ma anche a causa di 1,2 miliardi di euro di ribassi nella vendita dei diritti della Uefa e delle principali leghe (Gran Bretagna, Spagna, Germania, Italia e Francia). "Non è un campionato per ricchi, è un campionato per salvare il calcio" di fronte al "momento critico" che vive il mondo del pallone, aveva dichiarato il presidente della Superlega e del Real, Florentino Perez.

I club 'frondisti', che nel 2020 hanno visto scendere il loro fatturato complessivo a 5,6 miliardi, con oscillazioni comprese tra il -19% del Manchester City e il -6% del Real Madrid, hanno archiviato il primo anno di pandemia con un rosso cumulato di 738 milioni di euro, dal quale si sono salvati solo il Chelsea, in utile per 45 milioni, e il Real, in pareggio (il Liverpool non ha ancora reso noto i conti). Oltre alle perdite - con in testa Milan (194,6 milioni), Manchester City (143,5) e Inter (102,4) - i ribelli portano in dote più di 2,7 miliardi di euro di debiti finanziari netti (Liverpool escluso) contratti per costruire stadi nuovi, come quello del Tottenham, il più indebitato tra i club europei (685 milioni), 'scaricati' sui club, come nel caso del leverage buy-out del Manchester United, secondo con 524 milioni, o frutto di dissanguanti campagne acquisti come quella condotta dalla Juve, terza con 358 milioni, per accaparrarsi Cristiano Ronaldo. Il modello economico del calcio europeo è diventato "sempre più insostenibile", rileva Andrea Sartori, Global Head Sports di Kpmg. Nonostante le norme sul fair play finanziario dell'Uefa "l'industria non è riuscita a controllare in modo appropriato i costi dei club, in particolare gli stipendi, con i compensi inflazionati dei giocatori, assieme ai crescenti costi di trasferimento e alle commessioni agli agenti, che hanno messo sotto significative pressioni le finanze dei club". Il Covid ha così "solo amplificato l'instabilità dell'attuale modello di business, causando forti preoccupazioni a livello di redditività e liquidità e accentuando il bisogno di rispondere alle sfide dello status quo".

 {
 "excerpt": "La rivoluzione del calcio europeo, svanita nel giro di un paio di giorni, voleva dribblare debiti e conti in rosso. Con il Covid, i club 'frondisti' hanno archiviato il 2020 con un rosso cumulato di 738 milioni di euro (in testa il Milan con 194,6 milioni).",
 "creationDate": "2021-04-23",
 "permalink": "https://ednh.news/it/superlega-in-48-ore-dallannuncio-alla-rinuncia/",
 "language": "it",
 "categories": "Economia",
 "media": "Infografica|Video",
 "imageFeatured": "https://ednh.news/wp-content/uploads/2021/04/superlegacalcio.jpg",
 "status": "publish",
 "authorId": "7",
 "author": "ansa"
}