Bruxelles - I grandi cambiamenti nella storia dell'Europa non sono mai avvenuti senza travaglio. E anche l'accordo storico sul Recovery Fund da 750 miliardi (390 di sussidi e 360 di prestiti), annunciato ufficialmente alle 5.31 di martedì 22 luglio dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, non ha fatto eccezione alla regola. L'intesa spartiacque, con cui per la prima volta l'Ue stabilisce una solidarietà finanziaria e mette in comune il debito garantendolo con un bilancio da 1.074 miliardi, per uno stimolo economico complessivo di 1.800 miliardi, è stata infatti raggiunta a costo di un'estenuante maratona negoziale di oltre 90 ore. Un vertice che verrà ricordato come il più lungo da 20 anni, da quando cioè a Nizza, nel 2000, fu rivisto l'assetto istituzionale europeo. Ma rispetto ad allora, quando i capi di Stato e di governo al tavolo erano poco più di una dozzina, in questo caso il confronto è stato a 27, con molte più sensibilità da accomodare e molto show ad uso e consumo dei Parlamenti nazionali, che entro i prossimi sei mesi questo compromesso lo dovranno votare, prima dell'ok finale al piano di rilancio a sostegno delle economie messe in ginocchio dalla peggior crisi dal Dopoguerra. Per questo il presidente francese Emmanuel Macron, così come molti altri leader, ha parlato di "una giornata storica"; di un accordo "senza precedenti" il numero uno dell'Eurocamera, David Sassoli; di decisione più importante dall'introduzione dell'euro il commissario Paolo Gentiloni. Un segno "del coraggio e della capacità dell'Europa di pensare in grande", ha commentato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. La prova che l'Ue che nei momenti più difficili sa gettare il cuore oltre l'ostacolo e "aprire nuove frontiere", ha indicato sorridente Angela Merkel. La cancelliera tedesca, ancora una volta nelle vesti di grande mediatrice, ha saputo accompagnare per mano Michel nelle ore più buie, quando nella notte di domenica la partita sembrava quasi sfuggita di mano per le dure richieste di tagli e meccanismi stringenti di governance dei leader rigoristi (Olanda, Svezia, Danimarca, Austria, Finlandia), Mark Rutte in primis.

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All'Italia questa intesa porta una dote di 209 miliardi, il 28% del totale. Il premier Giuseppe Conte è riuscito infatti a strappare un piatto ancora più ricco - 82 miliardi di sussidi e 127 di prestiti - rispetto alla proposta della Commissione di maggio, che destinava al nostro Paese 173 miliardi (82 di aiuti e 91 di prestiti). "Avremo una grande responsabilità: con 209 miliardi abbiamo la possibilità di far ripartire l'Italia con forza e cambiare volto al Paese. Ora dobbiamo correre", ha evidenziato molto soddisfatto il presidente del Consiglio, rimarcando di aver conseguito questo risultato "tutelando la dignità del nostro Paese". Un traguardo su cui il governo è già al lavoro, impegnato a presentare il suo piano di riforme strutturali necessario per beneficiare delle risorse ad ottobre, nelle intenzioni dal ministro Roberto Gualtieri. Il Recovery Fund era stato messo in sicurezza aumentando nel corso della maratona negoziale la posta della Resilience e Recovery Facility, cuore del Fondo allocato direttamente ai Paesi secondo una precisa chiave di ripartizione, a 312,5 miliardi (rispetto alla proposta di 310 miliardi della Commissione europea di maggio). La sforbiciata ha ridotto invece i trasferimenti spacchettati tra i programmi, 77,5 miliardi (rispetto ai 190 mld pensati dalla Commissione). Il bilancio europeo 2021-2027 è rimasto a 1.074 miliardi di impegni. Ma sono stati accontentati i Frugali con succulenti rebate, i rimborsi introdotti per la prima volta su richiesta di Margaret Thatcher, che dopo la Brexit molti leader Ue avrebbero voluto cancellare. In alcuni casi sono stati raddoppiati. Alla Danimarca sono andati 322 milioni annui di rimborsi (rispetto ai 222 milioni della proposta di sabato); all'Olanda 1,921 miliardi (da 1,576 miliardi) ; all'Austria 565 milioni (da 287) e alla Svezia 1,069 miliardi (da 823 milioni). A risolvere la spinosa questione della governance, ovvero il controllo sull'attuazione delle riforme dei piani nazionali per i relativi pagamenti su cui Rutte pretendeva il diritto di veto, è stato un super-freno di emergenza emendato, oggetto di un negoziato all'ultimo sangue tra Conte e l'olandese. Ad uscirne un po' ammaccata è stata invece la condizionalità degli aiuti del budget europeo in base al rispetto dello stato di diritto, così tanto diluita che lo stesso leader ungherese Viktor Orban (pronto allo scontro totale) ne ha addirittura applaudito con entusiasmo l'adozione.

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