Roma - Anche la Svezia, dopo la Finlandia, rinuncia ufficialmente alla sua storica neutralità. Per entrare in una "nuova era", ha sottolineato la premier Magdalena Andersson, annunciando che il suo governo chiederà l'adesione alla Nato e scatenando come prevedibile l'ira di Mosca. La strada comunque non è spianata: c'è da convincere la recalcitrante Turchia, con Erdogan che continua a minacciare il veto all'ingresso di Helsinki e Stoccolma nell'Alleanza. Il sì del governo svedese alla Nato, nell'aria da settimane, è stato formalizzato dalla premier Andersson in una simbolica staffetta con la collega finlandese Sanna Marin, che aveva fatto un analogo annuncio 24 ore prima. "Stiamo uscendo da un'era per entrarne in una nuova", e se la Svezia diventasse l'unico Paese non membro della Nato intorno al Mar Baltico si troverebbe "in una posizione molto vulnerabile", ha osservato la leader socialdemocratica rivolgendosi ai deputati ed evocando il rischio che la Russia potrebbe "aumentare la sua pressione".

La risposta di Mosca è stata dura. Vladimir Putin ha spiegato che di per sé la mossa di Svezia e Finlandia "non rappresenta una minaccia diretta" per la Russia, ma lo è invece "l'espansione delle infrastrutture militari in questi territori". In quel caso, ci sarà "sicuramente una nostra risposta, che dipenderà dalla natura delle minacce nei nostri confronti", ha avvertito il presidente russo. Che non a caso ha parlato ad un vertice del Csto, l'alleanza militare che riunisce sei ex repubbliche sovietiche. Oltre alle minacce di Putin, Svezia e Finlandia devono fare i conti con gli ostacoli interni nel cammino verso la Nato. "Non diremo sì a quei Paesi che applicano sanzioni alla Turchia" e che non prendono una posizione chiara contro "il terrorismo", ha avvertito il presidente turco Erdogan, che dai due governi scandinavi vuole delle "garanzie di sicurezza": lo stop all'embargo alle esportazioni di armi e lo stop al sostegno sul loro territorio ai curdi del Pkk, che Ankara considera un'organizzazione terroristica. Gli svedesi invieranno una loro delegazione in Turchia, convinti che si potrà superare l'impasse, ed anche il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg si è detto "fiducioso che si troverà una soluzione". Ma c'è il rischio che Erdogan la tiri ancora per le lunghe. Magari sperando in ulteriori concessioni. Ad esempio, riuscire a comprare dei jet F16 dagli Usa e porre fine alla tensione con Washington dopo l'acquisto di sistemi missilistici russi da parte di Ankara.

In caso di accordo con la Turchia, il percorso di adesione per Svezia e Finlandia sarebbe decisamente in discesa perché entrambe hanno tutti i requisiti. Secondo Stoccolma, potrebbe bastare un anno. Il problema è che la Russia è già alle porte, e la stessa premier Andersson ha ammesso che il suo Paese potrebbe essere "vulnerabile" in questa fase di transizione. Proprio per questo, diverse capitali hanno assicurato il loro sostegno in caso di un attacco. Oltre a Stati Uniti, Germania e Francia, si sono offerti anche Norvegia, Danimarca e Islanda, "con tutti i mezzi necessari". Mentre la Gran Bretagna, nei giorni scorsi, ha firmato un vero e proprio patto militare con Stoccolma e Helsinki. Nel frattempo, i due candidati parteciperanno ad una delle più grandi esercitazioni Nato nella storia dei Paesi baltici: 15 mila soldati da 10 Paesi, in Estonia, per le prossime due settimane. E in ottica di contenimento della Russia, a Bruxelles si ragiona anche di accelerare il processo di allargamento dell'Ue. L'alto rappresentante per la Politica estera Josep Borrell ha chiesto l'apertura di negoziati di adesione con Albania e Nord Macedonia prima della fine della presidenza francese, il 30 giugno. Perché, ha avvertito, "la situazione attuale non è sostenibile, è un regalo a Mosca".

L'ADDIO ALLA NEUTRALITÀ - Il vento del cambiamento spirava già da qualche settimana, anche se in pochi avrebbero scommesso che la brezza si sarebbe trasformata a stretto giro in un ciclone. La neutralità della Svezia, come quella della Finlandia, aveva cominciato a scricchiolare già a pochi giorni dall'invasione russa dell'Ucraina con quote consistenti dell'opinione pubblica che guardavano con favore alla Nato e al suo ombrello protettivo contro la minaccia dell'orso russo. Ma la premier, Magdalena Andersson, pur favorevole a un rafforzamento della cooperazione in tema di difesa innanzitutto con gli Usa, ancora ai primi di marzo escludeva l'ingresso nell'Alleanza atlantica. "Se lo facessimo ora, si destabilizzerebbe ulteriormente questa parte dell'Europa", argomentava in conferenza stampa dopo una serie di colloqui con le varie forze politiche, puntando invece su misure come il raddoppio delle spese militari dall'1 al 2% del Pil. La dimensione delle maglie della neutralità, tuttavia, cominciava ad allargarsi.

"Dal momento in cui siamo entrati nell'Ue non siamo più realmente neutrali perché c'è una clausola di solidarietà", affermava la premier socialdemocratica il 28 marzo nel corso di una conferenza stampa con il cancelliere tedesco Olaf Scholz. "Non siamo neutrali, ma non siamo parte di un'alleanza militare. Abbiamo questa posizione da tempo, ma vediamo al tempo stesso che la situazione della sicurezza in Europa si è modificata con l'aggressione russa all'Ucraina". Una prima ammissione, mentre gli svedesi sempre più spaventati facevano volare nei sondaggi la percentuale dei favorevoli all'adesione alla Nato. Il 14 aprile una rilevazione dell'istituto Novus evidenziava che il 45% degli intervistati era favorevole all'adesione. Una settimana dopo la percentuale era salita al 51%. Poi, l'accelerazione, anche sull'onda della spinta della Finlandia. Fino allo storico via libera del partito socialdemocratico che, con qualche distinguo come l'eventuale presenza di basi nucleari sul territorio, ha capovolto la sua tradizionale posizione e si è dichiarato favorevole all'ingresso nell'Alleanza. In contemporanea con l'ultimo sondaggio di Novus, che dava al 53% i sì all'adesione.

 

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