Bruxelles - USA - Un'America sempre più spaccata è tornata indietro di 50 anni: il 24 giugno la Corte suprema, anch'essa divisa (6 a 3), ha abolito la storica sentenza 'Roe v. Wade' con cui nel 1973 la stessa Corte aveva legalizzato l'aborto in tutto il Paese. Ora invece saranno i singoli Stati a decidere, hanno stabilito i saggi, sempre più lontani da una società che si è evoluta e la cui maggioranza, secondo i sondaggi, era contraria alla cancellazione della 'Roe'. Un colpo di scure che ha suscitato immediate proteste davanti al blindatissimo palazzo della Corte e nelle principali città americane, lo sdegno di Joe Biden e dei dem, nonché un'ondata di critiche in tutto il mondo, dove ora gli Usa sono "un'eccezione", come ha sottolineato lo stesso presidente. Hanno esultato invece Donald Trump ("è la volontà di Dio"), i repubblicani e i vescovi cattolici, in una battaglia che promette di surriscaldare le elezioni di Midterm e che rischia di degenerare in proteste violente.

La decisione è stata presa nel caso 'Dobbs v. Jackson Women's Health Organization', in cui la maggioranza di giudici conservatori cementata da Donald Trump con tre nomine ha confermato la legge del Mississippi che proibisce l'interruzione di gravidanza dopo 15 settimane. A fare ricorso era stata l'unica clinica rimasta nello Stato a garantire l'aborto. La Roe v. Wade era "chiaramente sbagliata", ha scritto Samuel Alito, estensore dell'opinione di maggioranza, respingendo la tesi che la donne hanno il diritto all'interruzione di gravidanza in base al diritto costituzionale della privacy sui loro corpi. "La costituzione non conferisce il diritto all'aborto", ha argomentato Alito facendo riferimento ad una carta che risale al 1789, e concludendo che "l'autorità di regolare l'aborto è restituita al popolo e ai suoi rappresentanti eletti".

La decisione farà scattare una serie di nuove leggi in circa metà dei 50 Stati americani, controllati dai repubblicani, che limiteranno o vieteranno l'aborto, con la possibilità anche di perseguirlo come reato penale. Tredici Stati avevano già adottato le cosiddette 'triggers laws' che bandiranno l'interruzione di gravidanza immediatamente. Altri 10 hanno leggi anteriori al 1973 che potrebbero andare in vigore o norme che proibiranno l'aborto dopo sei settimane, quando molte donne non sanno ancora di essere incinta. Il Missouri è stato il primo Stato ad annunciare l'immediato divieto, insieme al Texas, seguiti dal South Dakota e dall'Indiana. Tre Stati liberal della costa pacifica - California, Oregon e Washington - hanno invece annunciato un impegno comune a difendere il diritto all'aborto. Idem lo Stato e la città di New York. L'America quindi si divide e a pagarne le conseguenze saranno milioni di donne, costrette a costosi viaggi da uno Stato all'altro. Con inevitabili discriminazioni nei confronti di quelle più povere, molte delle quali afroamericane o ispaniche, e il rischio di un aumento degli aborti clandestini.

EUROPA - Ciò che è accaduto negli Usa sia da lezione, il diritto all'aborto va tutelato con più vigore. In una risoluzione presentata da S&D, Verdi, Renew e The Left, e approvata a netta maggioranza, l'Eurocamera ha chiesto che l'aborto sia inserito nella Carta dei dei diritti fondamentali dell'Unione europea e, allo stesso tempo, "condanna fermamente" quanto avvenuto negli Usa. "Ogni persona ha diritto all'aborto sicuro e legale", recita il testo della risoluzione passata con 324 voti favorevoli, 155 contrari e 38 astensioni. Numeri che non erano del tutto scontati. Nell'Europarlamento sul tema dei diritti, convivono posizioni lontanissime. E, come è accaduto sulla tassonomia, anche sul tema dell'aborto la maggioranza Ursula si è divisa visto che più della metà dei Popolari ha votato contro.

Tra i "no" c'erano anche quelli degli eurodeputati azzurri. Forza Italia, Fdi e Lega hanno infatti votato compattamente. "E' vergognoso, vogliono che il modello dell'Europa siano Polonia e Ungheria?", ha attaccato il capodelegazione del Pd Brando Benifei. "La sinistra vuole trasformare l'aborto in un business", è stata la reazione di Vincenzo Sofo, di Fdi-Ecr. "Dall'Ue un'assurda ingerenza nei confronti degli Stati membri e anche degli Usa, è l'ennesimo atto di prepotenza della sinistra", ha rincarato la dose la leghista Simona Baldassare, che è anche responsabile del Dipartimento Famiglia dei salviniani. Il tema, del resto, è caldissimo. Già la Plenaria di giugno aveva approvato una risoluzione sull'aborto in cui si chiedeva alla Corte Suprema americana di sostenere la decisione Roe v. Wade e si invitavano tutti gli Stati membri a depenalizzare l'aborto. Poi, Oltreoceano, è accaduto quello che tutti sappiamo. E allora a Strasburgo si è sentita la necessità di tornare sull'argomento anche perché, è il timore degli eurodeputati, c'è sempre il rischio di un effetto domino che dagli Usa possa coinvolgere il Vecchio continente. Certo, attualmente nella stragrande maggioranza dell'Unione il diritto all'aborto è tutelato: l'unico Paese a vietarlo tout court è Malta. Ma in alcuni Paesi membri, Polonia e Ungheria su tutti, i governi di destra hanno limitato progressivamente i casi in cui l'aborto è ammesso per legge. A Varsavia, ad esempio, l'interruzione della gravidanza è legale solo nei casi in cui la vita e la salute della madre sono in pericolo e nei casi di gravidanze derivanti da stupro.



La risoluzione chiede quindi che sia presentata al Consiglio Ue una proposta intesa a modificare l'articolo 7 della Carta dei diritti, inserendo quello all'aborto. Il testo esprime preoccupazione per un possibile aumento del flusso di denaro per finanziare gruppi anti-genere e anti-scelta nel mondo in Europa. "I Paesi Ue - si legge nella relazione - dovrebbero garantire l'accesso a servizi di aborto sicuri, legali e gratuiti, a servizi di assistenza sanitaria prenatale e materna, nonché alla prevenzione, al trattamento e al sostegno nella lotta all'Hiv". Parole che, alle associazioni che nel pomeriggio sono scese in piazza all'Esquilino alla manifestazione promossa da Women's March Rome, sicuramente saranno piaciute. In gruppi come Id, invece, emerge la delusione anche nei confronti della presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, le cui posizioni conservatrici sull'aborto, al momento della sua elezione, erano stato nel mirino dei Socialisti. Ma sull'aborto come su tutti gli altri temi, la maltese Metsola ha più volte ribadito di dover e voler rappresentare l'istituzione che presiede. Nel giorno della sentenza americana Metsola aveva anche espresso in un tweet il suo disappunto.

ITALIA - Il numero di interruzioni volontarie di gravidanza in Italia continua a scendere ed i tassi di abortività sono tra i più bassi al mondo. Nel 2020 sono state poco più di 66mila, il 9,3% in meno rispetto al 2019 e circa un quarto rispetto al picco massimo di 234mila registrato nel 1983. E cala, seppur lievemente, anche la quota di ginecologi obiettori: oltre il 60%, pero', invoca il diritto a non eseguire aborti. Questo è il quadro 2020 del nostro Paese fotografato dall'ultima Relazione del ministro della Salute al Parlamento. In Italia l'interruzione volontaria di gravidanza è regolata dalla Legge 194 del 1978 in base alla quale ogni donna può abortire entro i primi 90 giorni (12 settimane) di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari e che, quindi, dipendono dalla volontà della donna.

Secondo i dati della Relazione, l'Italia è tra i Paesi con i più bassi tassi di abortività al mondo: 5,4 interruzioni ogni mille donne tra i 15 e i 49 anni (-6,7% rispetto al 2019). La fascia di età in cui si registrano tassi più elevati è quella compresa tra i 30 e i 34 anni (9,4 per mille). Sono invece le ragazze più giovani, al di sotto dei 20 anni, quelle in cui si è registrato il calo più importante: -18,3%, con un tasso di abortività passato dal 3,7 per mille del 2019 al 3 per mille del 2020. Si riducono gli aborti anche nelle cittadine straniere, che tuttavia continuano ad avere tassi di abortività più alti rispetto alle italiane (12 per mille). Migliorano i tempi di esecuzione delle interruzioni di gravidanza con un aumento della percentuale di interventi effettuati precocemente, quindi a minor rischio complicanze: il 56% è stato effettuato entro le 8 settimane di gestazione (rispetto al 53,5% del 2019), il 26,5% a 9-10 settimane, il 10,9% a 11-12 settimane e il 6,5% dopo la dodicesima settimana. Ciò potrebbe essere dovuto a un incremento del ricorso all'aborto farmacologico, che viene adoperato nel 31,9% dei casi rispetto al 24,9% del 2019. "La riduzione del numero di interruzioni osservata negli ultimi anni potrebbe essere in parte riconducibile all'aumento delle vendite dei contraccettivi di emergenza a seguito delle 3 determina Aifa che hanno eliminato l'obbligo di prescrizione medica". Infine, per quel che concerne l'obiezione, nel 2020, la percentuale di ginecologi obiettori su scala nazionale è scesa al 64,6% rispetto al 67% dell'anno precedente. Esistono, tuttavia, ampie differenze regionali. Nella provincia autonoma di Bolzano esercita il diritto all'obiezione l'84,5% dei ginecologi, in Abruzzo l'83,8%, in Molise l'82,8%, in Sicilia l'81,6%, in Basilicata l'81,4%. I minori tassi di obiezione tra i ginecologi si riscontrano in Valle d'Aosta (25%). Più basso il tasso di obiezione tra gli anestesisti: nel 2020 è pari al 44,6% in lieve aumento rispetto al 43,5% del 2019, con tassi che variano dal 20% della Valle d'Aosta al 75,9% della Calabria.

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