Bruxelles- "Nessun Paese Ue è un'isola" ma con la 'deregulation' degli aiuti di Stato il rischio che tutti lo diventino è dietro l'angolo. La rivisitazione dei versi del poeta britannico John Donne fin qui non sembra portare fortuna alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che presentando il nuovo piano industriale 'green' per rispondere all'Inflation Reduction Act (Ira) degli Stati Uniti si è attirata in un colpo solo gli strali della maggioranza dei governi europei, Italia compresa, e dei partiti politici, inclusi i suoi Popolari. Una comunicazione - e dunque non ancora una proposta legale - giudicata da più parti come "insufficiente" e che rischia di volgere i Paesi l'uno contro l'altro in virtù del diverso spazio d'azione fiscale. E non soddisfano nemmeno le risorse messe sul piatto per competere con il maxi-pacchetto da quasi 370 miliardi di dollari di sussidi nelle tecnologie pulite targato Biden: il nuovo fondo comune di sovranità abbozzato resta fin qui senza una dotazione chiara e per definirlo potrebbero servire molti mesi.

 

 

Il Green Deal Industry Plan punta a trasformare l'industria europea per accompagnarla "nell'era delle emissioni nette zero" cercando di non deragliare rispetto a Washington e Pechino. Per questo Palazzo Berlaymont ha deciso nell'immediato di aprire i rubinetti degli aiuti di Stato: la proposta è permettere fino al 2025 sussidi ai settori verdi (su tutti pannelli solari, batterie, turbine eoliche o pompe di calore) in cui c'è rischio di delocalizzazione, ma anche agevolazioni e aiuti diretti alle aziende ricalcati su quelli offerti dagli americani. E potranno toccare addirittura le stesse cifre offerte da Paesi terzi. Una mossa per non perdere la guerra della competitività con Usa e Cina che si preannuncia però complicata su molteplici versanti interni, a partire dal rischio di avvantaggiare soltanto chi gode di cordoni della borsa larghi - Berlino in testa -, lasciando indietro tutti gli altri. E la prima a mettere le mani avanti è stata la stessa responsabile della Concorrenza Ue, Margrethe Vestager, avvertendo che "l'uso degli aiuti di Stato per stabilire una produzione di massa e per eguagliare le sovvenzioni straniere è qualcosa di nuovo" e "non è innocuo" per l'intregità del mercato unico. Per questo, è stata la raccomandazione, i governi dovranno fare attenzione a "evitare una corsa individuale ai sussidi" che "farebbe perdere l'Ue nel suo insieme".

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Ma il piano non convince neanche sul fronte dei finanziamenti di medio termine, dove tutto resta come prima senza aggiungere risorse fresche all'artiglieria Ue. Il fondo per la sovranità - che sarà discusso non prima dell'estate - viene inquadrato nel contesto ancora vago della "revisione del bilancio comune" e, per raggiungere i circa 350 miliardi di euro necessari, Palazzo Berlaymont rimescola le carte dei fondi già esistenti, affidandosi in primis sulle "risorse ponte" dei 250 miliardi tra il Recovery fund e il RePowerEu e dei 100 miliardi dalla politica di coesione, oltre ai fondi InvestEu e per l'Innovazione. Del resto, diversi Paesi, capeggiati da Germania e Paesi Bassi, si sono già opposti all'idea di nuovo debito in comune e anche il commissario Ue per il Mercato interno, Thierry Breton, ha confermato che al momento il progetto non è in cantiere. Nemmeno in forma di prestiti come fu per il SURE per sostenere i regimi di cassa integrazione in tempi di pandemia: "oggi la situazione è diversa e dobbiamo guardare alle necessità del momento", ha tagliato corto von der Leyen.

Un risultato nel complesso deludente per tutte le compagini politiche, persino i Popolari di von der Leyen, per i quali il piano industriale dell'Ue "arriva troppo tardi, ed è troppo poco". E anche i Liberali di Renew chiedono di "fare di più" e soprattutto soluzioni "europee" e non individuali, affiancati dalla sonora bocciatura dei Socialisti & Democratici (S&D), secondo i quali "così com'è" il piano "rimane irrilevante" ed è "un'occasione persa". La strada per raddrizzare la barra si preannuncia dunque lunga e in salita: si parte dal primo faccia a faccia tra i leader Ue al vertice straordinario del 9 e 10 febbraio a Bruxelles per approdare a metà marzo alle prime proposte concrete.

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