BRUXELLES - "Passaggio storico". È stata l'espressione più in voga al Consiglio europeo di fine giugno a Bruxelles, che ha ratificato la proposta della Commissione di concedere lo status di Paese candidato all'Ue per l'Ucraina (e la Moldavia). E in effetti dovrebbe essere stato un giorno solo di festa, perché il sì rappresenta per l'Unione una scelta geopolitica. Al Consiglio è però scoppiato lo psicodramma dei Balcani occidentali: nessun risultato tangibile, per loro, dal vertice con i 27 a causa dei veti incrociati. "Questa è una brutta pagina", ha tagliato corto l'alto rappresentante per la politica estera Ue, Josep Borrell. Mentre Volodymyr Zelensky ha giustamente esultato: "È un momento unico", ha detto il presidente ucraino, che si è video collegato con il summit subito dopo la fumata bianca per ringraziare i leader.

La questione dei Balcani invece è molto più arzigogolata. L'Albania e la Nord Macedonia, dopo anni di riforme, non riescono ad ottenere l'apertura dei negoziati per l'adesione a causa del blocco della Bulgaria, che sbarra la strada a Skopje per questioni identitarie. Il premier filo-occidentale Kiril Petkov è arrivato a Bruxelles ufficialmente sfiduciato dal Parlamento, con una crisi politica in massima esplosione, in parte proprio per aver tentato di sciogliere la matassa. La Francia ha tentato una mediazione, con un piano all'esame dei deputati nel corso di una seduta straordinaria, che prevede però anche delle modifiche costituzionali per la Macedonia del Nord. "Così com'è la proposta francese è inaccettabile per noi", ha tuonato il premier macedone, Dimitar Kovacevski. A complicare le cose, i sondaggi in Bulgaria: se si andrà a nuove elezioni, i partiti populisti e filo-russi rischiano di prendere molti voti. Dunque tocca muoversi con delicatezza. Esattamente il contrario del premier albanese, Edi Rama. Che ha sparato a palle incatenate. "È una vergogna che un Paese Nato, la Bulgaria, tenga in ostaggio altri due Paesi Nato, la Nord Macedonia e l'Albania, nel pieno di una guerra nel nostro cortile di casa e che altri 26 membri dell'Ue restino fermi e impotenti". L'Ue ha "grandi speranze" che la convocazione della Conferenza intergovernativa per l'avvio dei negoziati di adesione per Macedonia del Nord e Albania "sarà questione di giorni", ha fatto sapere nei giorni dopo il vertice il commissario all'Allargamento, Oliver Varhelyi.

Il problema è sempre l'unanimità. E infatti Borrell, scuro in volto, ha ribadito l'ovvio: "Dobbiamo andare oltre, non possiamo continuare ad accettare che un membro solo blocchi tutto". Ma per ora è così. Se questo è lo scoglio più tagliente, ci sono altri intralci. La liberalizzazione dei visti per il Kosovo, ad esempio. O la concessione dello status di Paese candidato alla Bosnia-Erzegovina. Ecco, sul punto è scattata una battaglia di Slovenia e Austria per chiedere più coraggio ai leader europei. Nelle conclusioni del vertice, oltre al capitolo che chiede un "accelerazione" del processo di allargamento, è dunque comparso un passaggio dedicato alla Bosnia in cui il Consiglio si dice pronto ad esaminare sì la candidatura, ma dopo un rapporto della Commissione sull'attuazione delle riforme. La discussione vera però è come, quanto e in che forma investire sul futuro, questione che si salda con la proposta avanzata da Emmanuel Macron di creare una "comunità politica europea" non alternativa al processo di allargamento, ma che possa accomodare in pieno tutto lo spirito europeo. Magari tenendo dentro anche il Regno Unito. La proposta ha raccolto il plauso del presidente serbo Aleksander Vucic (al quale sono state comunque tirate le orecchie per il mancato allineamento alle sanzioni contro la Russia). "Sarebbe l'unico modo per i Balcani di essere ascoltati e, allo stesso tempo, di confrontarci con l'Ue", ha spiegato. Macron ha rincarato la dose. "Vediamo molta stanchezza in alcuni Paesi per l'allargamento, che è un percorso lungo e duro", ha detto. "Invece, anche alla luce della guerra, dobbiamo muoverci più rapidamente: l'Ue non può lasciare un vuoto geopolitico". I leader ne parleranno ma a questo vertice non si deciderà niente. La 'visione lunga', per l'Unione, resta un percorso a tappe, non senza ostacoli. Ma intanto c'è soddisfazione per una svolta.

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