Bruxelles - Al summit Nato di Vilnius quest'anno si parlerà di soldi. Ovvero quanto dovranno investire gli alleati nel prossimo ciclo di spesa. La risposta 'facile' è molto facile: di più. Quella difficile è 'quanto di più'. Tutta la trattativa in corso verte su questo punto e il segretario generale Jens Stoltenberg, nel corso della presentazione del rapporto annuale, ha voluto mettere un punto fermo: "Mi aspetto che i leader prendano l'accordo che il 2% del Pil sia la soglia minima".

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Con la guerra in Ucraina d'altra parte lo scenario è "radicalmente cambiato" e tutti dovranno fare la loro parte, anche in termini di "rapidità" con cui arrivare al nuovo target. Insomma, il comparto difesa e sicurezza è tornato prepotentemente al centro del dibattito - con gli Usa, ma non solo, a incoraggiare gli alleati recalcitranti - e chi ancora è lontano dall'obiettivo ora sarà probabilmente chiamato a sforzi potenzialmente dolorosi. L'Italia, ad esempio. Il Rapporto Nato certifica che Roma, stando alle stime per il 2022, ha speso l'1,51% del Prodotto interno lordo, in calo rispetto all'1,57% dell'anno precedente (nonostante un aumento dei fondi in termini reali). Bene. Qui si può aprire una parentesi poiché alcuni alleati - riferiscono diverse fonti - stanno ponendo il tema di definire meglio "i parametri" con cui inquadrare i promossi e i bocciati - ad esempio con dei "target operazionali".

Perché un conto è il dato puro, un altro se si guarda poi a come questi quattrini vengono veramente impiegati: le pensioni dei militari, notano alcuni, non rendono gli alleati né "più sicuri" né "più capaci". Ecco, su questo l'Italia sta migliorando poiché la porzione del suo budget difesa allocata alle spese del personale (pensioni comprese) vale nel 2022 il 62% del totale, in calo rispetto al 76% del 2014, l'anno nero dell'annessione della Crimea da parte della Russia, che ha invertito anni di tagli tra gli alleati europei della Nato. Ma resta comunque uno dei valori più alti nell'alleanza (il Regno Unito, per dire, spende solo il 31% nel personale e la Francia il 41%). "Abbiamo voluto sfruttare il dividendo della pace ma quell'epoca è finita", ripete spesso l'alto rappresentante della politica estera e di difesa Ue Josep Borrell. "Ora stiamo spendendo di più ma, soprattutto, dobbiamo spendere insieme e meglio".

Stoltenberg compie un passo ulteriore. "Insieme e meglio, senz'altro", assicura chi gli è vicino. "Ma anche di più quanto stiamo facendo ora". L'Unione Europea lo sa e infatti nel nuovo patto di stabilità le spese in difesa sono uno dei parametri che consentiranno una gestione più flessibile di debito e deficit. La realtà odierna richiede una partecipazione più diretta dell'Ue nelle varie crisi globali e la costruzione di diversi strumenti comuni di difesa e intervento procede persino più velocemente del previsto.

"Il lavoro che facciamo in Ucraina ha cambiato il brand dell'Unione Europea", ha notato Borrell chiudendo il primo Schuman Forum sulla sicurezza (presenti circa 50 Paesi tra America Latina, Africa e Medio Oriente). "Molti partner ora ci chiedono un sostegno, per rapidità e scala, paragonabile a quello che abbiamo fatto per Kiev: sono domande a cui dobbiamo dare una risposta". Banalmente, l'Ue ha infranto un tabù usando il Fondo Europeo per la Pace (Epf) per armare l'Ucraina e ora altri battono cassa. Ecco allora che Bruxelles userà presto il Fondo per "dare munizioni ed elicotteri a Niger e Somalia". Lo scenario, a maggior ragione, non cambia anzi si rafforza: va aperto il portafogli.

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